II MARTEDÌ DI AVVENTO
Dal Vangelo secondo Matteo (18,12)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?
Riflessione
Miserere di me, che sono caduta a terra
come una pietra di sogno.
Miserere di me, Signore, che sono un grumo di lacrime.
Miserere di me, che sono la tua pietà.
Mio figlio
grande quanto il cielo.
Mio figlio, che dorme sulle mie gambe
Miserere della mia grandezza,
miserere della mia stanchezza,
miserere della misericordia di Dio.
Abbiamo citato un brano del Magnificat di Alda Merini, un canto dell’anima in cui la poetessa dà voce a Maria condividendone sentimenti, palpiti di fede e fremiti d’amore. Sui versi da noi citati si proietta l’ombra scura della croce che rende la Madre «un grumo di lacrime». Ma vorrei fissare l’attenzione solo su un verso di grande intensità e dolcezza: «Mio figlio, che dorme sulle mie gambe». Due sono le scene che scorrono davanti a noi. La prima è quella di Maria che accoglie sulle sue gambe la testolina del ragazzo Gesù, in quell’atteggiamento che tutti abbiamo vissuto e che rispolveriamo, forse con pudore ma con sicura nostalgia, dall’archivio della memoria. L’altra immagine è quella classica della “Deposizione” o “Pietà” quando la Madre accoglie sulle sue gambe il corpo esangue del Figlio crocifisso. Il dolore s’intreccia con l’amore e si trasfigura. Forse oggi per un istante avremmo tutti bisogno di ritornare idealmente su quelle ginocchia per ricevere il tepore di una carezza che nessun altro può darci in quel modo.
Tratto da: Gianfranco Ravasi, Miserere di me. Mattutino.
Preghiera
O Dio, che hai fatto giungere ai confini della terra
il lieto annunzio del Salvatore,
fa’ che tutti gli uomini accolgano
con sincera esultanza la gloria del suo Natale.
Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo figlio che è Dio,
e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli. Amen