CONTESTO
Dal 15 aprile il Sudan è vittima di un cruento conflitto tra i due generali ai vertici del Consiglio sovrano organismo che – al momento – guida il Paese, il presidente Abdel-Fattah al-Burhan e il vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo. Lo scontro è tra le forze armate sudanesi facenti capo al presidente e il gruppo paramilitare denominato “Forze di Supporto Rapido” (RSF) che conta più di 100.000 miliziani controllato dal vicepresidente. Il conflitto è iniziato nella capitale Khartoum e poi si è esteso in altre città, soprattutto nella regione occidentale del paese (Darfur) e in quella centro-meridionale (Kordofan) dove operano anche altri gruppi armati. Il conflitto tra le due forze militari si sta trasformando nel Darfur in una guerra civile con connotati etnico-tribali con le tribù arabe che appoggiano le RSF. Il Darfur occidentale è l’area dove le violenze sono divenute più cruente. Il carattere transfrontaliero delle alleanze tribali e la partecipazione civile alla guerra rischiano di portare a un’espansione del conflitto nel vicino Ciad.
La popolazione civile continua ad essere la principale vittima delle violenze con morti, stupri, separazioni familiari, saccheggi. Secondo il ministero della salute sudanese, al 30 giugno si contano più di 1100 morti, oltre 11.000 feriti e si stimano in più di 4.400 le violenze sessuali, ma si tratta di dati ampiamente sottostimati e in costante aumento dato il dilagare della violenza. Nelle aree di conflitto le persone sono tagliate fuori dai servizi vitali e dall’assistenza umanitaria, mentre le infrastrutture subiscono danni e distruzione. Nel Darfur la guerra ha provocato anche la perdita di ampie parti del raccolto aggravando l’insicurezza alimentare per i prossimi mesi.
Un numero crescente di bambini corre il rischio di reclutamento in gruppi armati, a causa della chiusura delle scuole e della mancanza di accesso ai servizi sociali. Molti i traumi subiti a causa delle violenze.
L’accesso alla salute continua ad essere ostacolato dal conflitto in corso. Le strutture sanitarie mancano di personale e forniture sufficienti e in alcune aree sono scarsamente funzionanti. La violenza rende difficile per le persone accedere all’assistenza sanitaria, con molti che ricevono le cure in ritardo per paura di uscire di casa e recarsi nelle strutture sanitarie. Continuano gli attacchi e i saccheggi alle strutture e ai beni sanitari, così come le violenze contro gli operatori sanitari.
I prezzi delle materie prime alimentari, quando disponibili, continuano a salire. Secondo il Programma Alimentare Mondiale (WFP), il costo del paniere alimentare locale è aumentato di circa il 18% da aprile a maggio 2023 e del 24,5% rispetto a maggio 2022 (un anno prima). Si stima che 24,7 milioni di persone, ovvero la metà della popolazione del Sudan, necessitino di assistenza e protezione umanitarie urgenti.
Nonostante le enormi difficoltà, dal 15 aprile al 15 giugno le organizzazioni umanitarie hanno fornito servizi di assistenza e protezione a oltre 2,8 milioni di persone in tutto il Paese. Tuttavia, l’insicurezza, gli ostacoli burocratici e gli attacchi contro le strutture e i magazzini continuano a ostacolare la capacità delle organizzazioni di fornire in sicurezza aiuti e servizi su larga scala. In particolare, vi sono enormi difficoltà per raggiungere le persone che necessitano di assistenza nelle aree colpite dal conflitto.
Almeno 15 operatori umanitari sono stati uccisi dall’inizio del conflitto, molti altri feriti e alcuni rimangono ancora dispersi. Almeno 44 magazzini e 76 uffici di organizzazioni umanitarie sono stati saccheggiati e almeno 188 i veicoli rubati.
Secondo l’OIM, più di 3,2 milioni di persone sono state sfollate a causa del conflitto, di queste oltre 2,5 milioni internamente e quasi 738.000 coloro che hanno attraversato il confine verso i paesi vicini, tra cui Egitto, Ciad, Sud Sudan, Etiopia e Repubblica Centrafricana. Le percentuali più elevate di sfollati interni, sparsi in tutto il paese, sono state osservate negli stati del River Nile (16,6%), del Northen (14,7%), del White Nile (10,8%) e del Senner (8,7%). La maggior parte di loro vive con parenti nelle comunità ospitanti.
Cifre che tuttavia restano inferiori alla realtà e in aumento di ora in ora. Molti di coloro che lasciano il paese sono persone fuggite in Sudan negli anni passati da paesi in guerra come il Sud Sudan o l’Etiopia e che ora ritornano nel loro paese di origine dove però spesso non hanno più nulla.
Una crisi umanitaria che impatta fortemente sui paesi che stanno accogliendo i profughi: paesi già in condizioni di povertà estrema alle prese con emergenze climatiche e conflitti. In Sud Sudan, uno dei paesi più poveri al mondo, dove già i 2/3 della popolazione soffre la fame e un difficile processo di pacificazione è in corso, stanno rientrando molti dei 400.000 sud sudanesi residenti in Sudan fuggiti dalla guerra civile che ha devastato il Sud Sudan tra il 2013 e il 2018.
La crisi ha impattato fortemente anche sulla situazione della Chiesa già di estrema minoranza con molti esponenti che hanno lasciato la capitale o il paese.
L’IMPEGNO DI CARITAS ITALIANA
Caritas Italiana è in costante contatto con le Caritas operanti in Sudan e dei paesi di accoglienza dei profughi, con la rete Caritas internazionale e con alcune congregazioni al fine di sostenere gli interventi di assistenza della popolazione vittima del conflitto. È possibile appoggiare questo impegno tramite offerte in denaro tramite i consueti canali di Caritas Italiana con causale: “Sudan”.
La Conferenza Episcopale Italiana ha stanziato un contributo dell’otto per mille alla Chiesa Cattolica per rispondere all’emergenza in Sudan e nei 5 paesi di accoglienza dei profughi. In Sudan si è in contatto con le poche religiose ancora presenti a Khartoum che dopo lo scoppio della guerra stanno accogliendo un centinaio di famiglie sfollate e assistendo circa 2000 persone con cibo, materiali per l’igiene, medicinali. Caritas Italiana sta sostenendo questo intervento.
Le condizioni di insicurezza e l’interruzione dei servizi di base sino ad ora non hanno consentito alla Caritas così come ad altre organizzazioni di operare. Tuttavia, la rete Caritas presente nel paese si sta riattivando dove può per fornire aiuto. In particolare a sostegno di alcuni centri sanitari nel Darfur e nell’assistenza agli sfollati nello stato del White Nile.
Nei paesi di accoglienza dei profughi le Caritas si sono mobilitate e stanno fornendo aiuto con beni di prima necessità, trasporto, alloggi d’urgenza, supporto psicosociale. Il sostegno è rivolto ai profughi e alle comunità ospitanti anch’esse in condizioni di vulnerabilità. Di seguito una sintesi delle attività in atto nei diversi paesi.
Sud Sudan
In Sud Sudan, il numero ufficiale degli arrivi dal Sudan dal 15 aprile è di 150.000 persone, ma il numero reale è più elevato soprattutto tra i sud-sudanesi che vivevano in Sudan.
Caritas Sud Sudan dall’inizio della crisi sta fornendo assistenza con cibo e beni di prima necessità, ripari di urgenza e un servizio di trasporto via battello ai moltissimi profughi che si sono ammassati nell’area di Renk nella diocesi di Malakal. Successivamente è stato predisposto un piano di aiuti di tre mesi che si protrarrà sino a settembre nelle tre diocesi di maggiore accoglienza dei profughi: Malakal, Wau e Juba per assistere circa 2500 persone con cibo, ripari di urgenza e beni di prima necessità, nonché con un sostegno per il trasferimento nelle aree di origine dei sud-sudanesi rientranti organizzando il trasporto e offrendo voucher in denaro per il sostentamento sino all’arrivo.
Nel frattempo proseguono gli interventi per rispondere alle altre crisi in atto nel paese in particolare per il contrasto alla dilagante malnutrizione che colpisce i 2/3 della popolazione.
Ciad
La Caritas della diocesi di Mongo, dove sono entrati oltre 180.000 profughi dal Sudan, sta attuando un piano di aiuti in tre campi profughi che si compone principalmente di:
- Fornitura di generi alimentari
- Prodotti non alimentari per migliorare le condizioni generali di vita (tende, teloni, stuoie, vestiti, zanzariere, coperte, pentole, secchi) ed altri prodotti di prima necessità.
- Fornitura di acqua potabile e interventi per l’igiene attraverso la realizzazione di latrine da campo e prevenzione delle malattie (come il colera, le diarree e le gastroenteriti, ecc.) e se possibile lo scavo di pozzi.
Egitto
In Egitto si contano oltre 350.000 sudanesi che hanno varcato il confine dal 15 aprile. Il flusso eccede le capacità di accoglienza. Caritas Egitto era già attiva ad Assuan, area di principale accoglienza di chi scappa dal Sudan, con un programma di sostegno psicosociale a minori migranti. Con l’arrivo dei profughi sudanesi sta potenziando questi servizi con l’apertura di altri spazi protetti per minori e prevede di fornire assistenza in denaro, assistenza medica e assistenza alimentare.
Repubblica Centrafricana
Sono circa 15.000 profughi arrivati dal Sudan. La gran parte di essi hanno espresso il desiderio di essere rilocati nell’area di Birao nell’Est del paese. La Caritas Centrafricana sta fornendo zanzariere per la prevenzione della malaria e sta predisponendo un piano di aiuti nella zona dove si stanno trasferendo i profughi.
Etiopia
Il flusso di profughi dal Sudan cresce di giorno in giorno. Attualmente, la maggior parte di loro sta arrivando in Etiopia attraverso il corridoio di Metema nella regione di Amhara, che si trova nell’Eparchia di Bahir Dar Dessie. Caritas Etiopia sta predisponendo interventi di aiuti in base alle risorse disponibili. Tra gli arrivi vi sono anche cittadini etiopi a cui era stato riconosciuto lo status di rifugiato in Sudan dopo essere fuggiti dalla guerra che si è protratta per due anni nel nord dell’Etiopia.
È disponibile la registrazione della teleconferenza tenutasi il 13 luglio 2023 e ulteriore documentazione in lingua inglese che possono essere richieste a Caritas Italiana – Ufficio Africa.